lunedì 27 giugno 2016

Pensioni: ai tagli senza fine si risponde con la lotta senza tregua

Essendoci rimasto poco da tagliare nelle pensioni degli italiani, dopo la decina di controriforme che dagli anni '90 alla Fornero hanno schiacciato il reddito dei pensionati allungando a dismisura l'età pensionabile, il governo Renzi sta ora raschiando il fondo del barile. Il tema è sempre che l'economia ristagna e dunque i vincoli europei ci impongono tagli.

Le trovate sono diverse. Innanzitutto c'è l'APE (anticipo pensionistico) che dovrebbe funzionare così: il lavoratore potrà andare in pensione prima del massimo (purché oltre i 63 anni) con un taglio alla pensione tra l'1 e il 4% annui. Questo anticipo il pensionato dovrebbe pagarselo indebitandosi con banche (per il prestito) e assicurazioni (che coprono il rischio di morte del debitore) a cui lo Stato pagherà gli interessi (circa un miliardo l'anno). Dunque il pensionato si indebita, le banche incassano e lo Stato le paga. Geniale! Per inciso, pur ammettendo che si debba ricorrere a un prestito, non si capisce perché non possa farlo direttamente lo Stato. Ad ogni modo, considerando l'età a cui si va in pensione oggi e che l'ammortamento dovrebbe durare tra i 10 e i 20 anni, i lavoratori dovrebbero fare debiti letteralmente sino alla tomba. E questo subendo un taglio consistente a una pensione già bassa.
In secondo luogo c'è la trovata dell'uscita graduale tramite part-time. L'idea è questa: il lavoratore vicino alla pensione passa part-time con corrispondente decurtazione della paga, salvo una piccola aggiunta corrispondente a una parte dei contributi previdenziali che il suo padrone non dovrà più versare. Per questo periodo lo Stato riconoscerà al lavoratore la contribuzione corrispondente alla prestazione non effettuata, in modo che alla maturazione dell'età pensionabile il lavoratore percepirà l'intero importo della pensione. È sin troppo ovvio che solo lavoratori con ottimi stipendi potranno permettersi un quasi dimezzamento del proprio salario.
Il terzo aspetto è il taglio alle pensioni di reversibilità che verrebbero ridotte in proporzione all'Isee, ossia al reddito complessivo dichiarato. Va da sé che questo significa ancora una volta punire i lavoratori dipendenti favorendo gli evasori.
Gli effetti della crisi
Per indorare la pillola, Renzi ha parlato (ma non è detto che li darà davvero) di 80 euro di aumento per le pensioni minime. In pratica il governo taglia 100 a tutti e restituisce, forse, 1 a pochi. Intanto gli effetti delle controriforme pensionistiche si fanno sentire: pensioni sempre più basse, lavoratori sempre più anziani anche in lavori pericolosi con effetti drammatici in termini di salute e sicurezza. È l'INPS stessa a osservare gli effetti della crisi, con un aumento dei poveri, in 6 anni, dal 18 al 25 per cento della popolazione e un terzo dei poveri che si trova in una condizione di grave deprivazione materiale[1].
Il governo giustifica i tagli con lo squilibrio economico dell'INPS. La realtà è che il disavanzo finanziario dell'ente (circa 8 miliardi) deriva dalle gestioni dei comparti diversi dai lavoratori dipendenti, come quello dei lavoratori autonomi, e dal buco legato all'assorbimento dell'INPDAP che aveva debiti nei confronti dello Stato (in pratica lo Stato come datore di lavoro non pagava a sé stesso i contributi). A ciò va aggiunto il problema dell'evasione contributiva. Secondo uno studio dell'ISTAT, solo quella dei falsi part-time è di 2-3 miliardi l'anno[2]. Nel complesso, con oltre tre milioni di lavoratori in nero e molti lavoratori regolari per i quali le aziende evadono comunque parte dei contributi, l'evasione contributiva supera i 10-15 miliardi l'anno. Eliminare l'evasione consentirebbe di appianare i buchi dell'INPS per sempre.
Il governo è andato nella direzione opposta soprattutto con i famigerati voucher che consentono di assumere persone a ore pagandole una miseria. Nel 2008 le persone retribuite con almeno un voucher erano meno di 25mila; ora arrivano a un milione e mezzo. Che questa forma di pagamento stia diventando stabile lo rileva dal fatto che quasi il 40% deipercettori di voucher nel 2015 aveva riscosso voucher anche l'anno precedente. Questa forma di lavoro nero legalizzato, che permette un abbassamento spaventoso della paga, comporta anche un drastico taglio dei contributi all'INPS. Ma si tratta solo dell'ultima infame trovata per tagliare i salari, una tendenza che dura ormai da un quarto di secolo. La quota salari sul Pil è calata in vent'anni di dieci punti percentuali. Anche l'INPS dunque ha perso dieci punti percentuali nelle sue entrate. Il Jobs Act ha anch'esso accresciuto il buco dell'INPS con la farsa della decontribuzione che ha ispirato ogni genere di truffa. Secondo la stessa INPS, gli imbrogli legati alla decontribuzione riguardano almeno 60mila imprese.
I buchi dell'INPS non dipendono dunque da pensioni troppo generose, ma dall'evasione contributiva e dal crollo dei salari.
Quali risposte?
Di fronte a questo ulteriore attacco, Cgil Cisl e Uil hanno fatto una manifestazione il 19 maggio, riuscita ma ininfluente. Non sono queste le risposte di cui abbiamo bisogno per contrastare il progetto del governo. Gli eventi francesi dimostrano qual è l'unica via per rispondere alle provocazioni dei governi: mobilitazioni continue, scioperi continui, blocchi stradali. I dirigenti sindacali italiani non sono disposti a prendere questa strada.
Neanche a dire che manchino le occasioni per allargare il fronte della mobilitazione, mettendo al centro anche il tema delle pensioni. Maggio e giugno sono stati mesi di scioperi, tra i metalmeccanici, nel settore della grande distribuzione, nel pubblico impiego. E proprio in questi giorni sta entrando nel vivo il tavolo coi sindacati sull'APE, presentato come un ritocco alla Fornero.
E qui veniamo al primo punto: i dirigenti sindacali non possono presentarsi al tavolo di trattative col governo provando a contrattare sulle penalizzazioni cui vanno incontro i lavoratori. Occorre mirare ad abolire la legge Fornero che, di fatto, ha abolito le pensioni di anzianità.
Se il governo, come in effetti sta facendo, punta a legare l'APE ad una nuova stretta sui dipendenti pubblici (che da sei anni aspettano un rinnovo contrattuale) e ad un nuovo scambio tra salario e produttività (che significa solo un nuovo aumento di ritmi di lavoro già intollerabili), da inserire in una nuova riforma della contrattazione, che mette l'APE e toglie ancora più potere al contratto collettivo nazionale, allora occorre cogliere l'occasioni data dagli scioperi dei metalmeccanici e quelli regionali del pubblico impiego in Lombardia e Piemonte di questi giorni, per stendere un unico programma di rivendicazioni, contro i licenziamenti e l'applicazione del Jobs Act nel pubblico impiego (il governo negli ultimi tempi c'ha riprovato), contro l'attacco al contratto nazionale di lavoro, per la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, per abolire tutte le controriforme che hanno abolito il diritto alla pensione.

venerdì 24 giugno 2016

LA FORMAZIONE DEVE ESSERE UN'OPPORTUNITÀ PER I LAVORATORI, NON UN REGALO ALL'AZIENDA!

Riceviamo e pubblichiamo:

La questione della firma dei Progetti Formativi aziendali si ripresenta
puntualmente e come ogni anno l'azienda chiede alla RSU di firmare i progetti formativi previsti per l'anno in corso e per la chiusura di quelli dell'anno passato.

Non e` una cosa da poco, perché CON QUESTA FIRMA l'azienda VIENE AUTORIZZATA ad accedere al finanziamento da parte di un fondo costituito CON I SOLDI DEI LAVORATORI per finanziare i corsi di formazione delle imprese.

Visto che si tratta di soldi dei lavoratori, chiediamo:
- Chi ha scritto il piano formativo?
- E` stato reso pubblico?
- la RSU ne ha mai discusso?
- chi e come sceglie i lavoratori che seguiranno i corsi?
- quanti sono gli impiegati e quanti gli operai?
- quali sono gli effetti dei corsi sulle qualifiche professionali?

La RSU NON PUO`FIRMARE senza prima rispondere a queste domande.
Firmare significherebbe dare mano libera all'azienda, permetterle di usare i soldi dei lavoratori per scopi incontrollabili, senza vincoli ne' sul riconoscimento della professionalità acquisita ne' sulla scelta dei lavoratori per i corsi.

Se poi la firma della RSU dipendesse dalle risposte dell'azienda su Contibonus e tassazione agevolata, saremmo solo alla farsa.

23 giugno 2016
S. Cini, G. Garzella RSU

giovedì 23 giugno 2016

PIANO FORMATIVO AZIENDALE

Riceviamo e pubblichiamo:

Da:                  Rsu
Per:                 Rsu
Data:               23/06/2016 16:18
Oggetto:         Piano Formativo


Buongiorno,
chiediamo di ricevere chiarimenti in merito al Piano Formativo aziendale, in particolare,
- Chi ha scritto il piano formativo?
- E` stato reso pubblico?
- La RSU ne ha mai discusso?
- Chi e come sceglie i lavoratori che seguiranno i corsi?
- Quanti sono gli impiegati e quanti gli operai?
- Quali sono gli effetti dei corsi sulle qualifiche professionali?
Saluti.


GGarzella e SCiniRSU

CONTI BONUS: comunicazione aziendale

L'azienda ha comunicato che l'importo del premio è di 1.208 euro lordi e sarà pagato con la busta paga di Giugno a tutti coloro che sono stati in forza per tutto l'anno 2015 e sono in forza al momento del pagamento (fine giugno). Il premio sarà riproporzionato rispetto all'orario di lavoro (part-time) e rispetto alla maturazione degli istituti contrattuali (per esempio 13esima mensilità).

martedì 21 giugno 2016

Parigi val bene una messa! A proposito di un'intervista a Landini

Di Eliana Como. 
Landini ha recentemente commentato in un intervista all’Huffington Post lo sciopero generale del 14 giugno in Francia e giustamente dice vive la France!
Ben venga, certo, che il segretario generale della Fiom guardi oggi alla Francia. Anche la segretaria generale della Cgil quel giorno ha fatto gli auguri ai lavoratori e alle lavoratrici francesi in sciopero. Aldilà degli slogan, bisognerebbe però essere più coerenti e conseguenti, tra quello che si predica (o si commenta) per gli altri paesi e quello che si decide, e si concretizza, nel proprio.
In primo luogo sarebbe utile riconoscere quanto è avvenuto in Italia, anzi, quanto non è avvenuto. Invece, tanto Camusso che Landini sorvolano abilmente sulle responsabilità del più grande sindacato italiano nel non aver fatto come in Francia. D’altra parte, quando scioperano gli altri, va sempre bene. A parole infatti essere tutte e tutti francesi  oggi  è facile. Peccato, peccato davvero, non esserlo stati nei fatti qui in Italia, quando sarebbe servito.
Nell’intervista all’Huffington, il segretario generale della Fiom riconosce in effetti le responsabilità della Cgil. Però soltanto con il governo Monti, quando la riforma Fornero passò in una notte, con appena 3 ore di sciopero. Testualmente dice: “L’errore lo abbiamo compiuto quando è caduto il governo Berlusconi nel 2011: abbiamo accettato che il governo Monti cominciasse a dare applicazione alla lettera della Bce compiendo il primo attacco all’articolo 18 e alle pensioni… Ora Renzi agisce su un terreno già arato”. Il problema, diciamo così, sarebbe stato l’antiberlusconismo, cioè il fatto che, pur di mandare via Berlusconi, si sia scelto di appoggiare o comunque non contrastare il governo Monti.
Non è così semplice. Non è cosi facile né per la Cgil né per la Fiom. Per una serie di ragioni.
1. Prima o poi dovremo affrontare il fatto che i governi di centro-destra in questi ultimi 25 anni non sono statitanto peggio di quelli di centro-sinistra o di quelli tecnici. Perché spesso le leggi proposte dai primi sono poi regolarmente state approvate dai secondi, molto spesso anche grazie alla pace sociale garantita proprio dalla logica sempre fallimentare del cosiddetto meno peggio (pensioni 1995; grandi privatizzazioni come Telecom, Enel e Autostrade; precarizzazione con il pacchetto Treu, tagli alla scuola e al welfare nel 2006/2007, ecc).
2. Proprio Landini aveva sostenuto Renzi, nei primi mesi del suo governo, con un atteggiamento ammiccante nei confronti di quello che, secondo lui, avrebbe potuto essere un elemento di cambiamento nella politica italiana. Si può cambiare idea, certo, ma se si ricostruisce l’analisi bisognerebbe anche riconoscerlo.
3. Soprattutto, non si affronta il fatto che, dopo la mobilitazione dell’autunno del 2014 contro il jobs act, di fronte a una inedita e persino inaspettata spinta dal basso, la Cgil impose un clamorosodietro front. Prima con uno sciopero generale fuori tempo massimo il 12 dicembre, poi decidendo nel direttivo nazionale (convocato soltanto il 18 febbraio, ben due mesi dopo lo sciopero!), che la lotta sarebbe proseguita solo con una vertenzialità territoriale e aziendale. Di fatto disperdendo nel nulla la mobilitazione e ogni contrasto al jobs act. Non si poteva certo andare avanti “di sciopero generale in sciopero generale”, come chiedevamo noi apparendo dei matti di fronte a tutto il resto del direttivo. No di certo! Quello si può fare soltanto in Grecia o in Francia, quando appunto sono gli altri a scioperare! Noi in Italia, iljobs act lo avremmo dovuto contrastare azienda per azienda, nella contrattazione di secondo livello, in quella territoriale e in quella nazionale. Quello che non eravamo riusciti a fermare tutti insieme ricascava in testa ai singoli, nelle aziende, nei territori, nelle categorie.
Il bilancio a più di due anni di distanza è sotto gli occhi di tutti. Altro che contrastare il jobs act nella vertenzialità diffusa! Non dico nelle aziende, che francamente era proprio impossibile, salvo alcune eccezioni (bravi sono stati alla GKN di Firenze i nostri compagni a riconquistare l’articolo 18 ante Fornero, ma appunto è una eccezione e più unica che rara). Ma soprattutto nei contratti nazionali, tanti dei quali sono stati firmati o sono in discussione in queste settimane. Quando e dove uno di questi contratti nazionali ha ottenuto condizioni che contrastano il jobs act? In quale vertenza nazionale il contrasto aljobs act è stato considerato un reale punto centrale delle piattaforme? Nessuna! Proprio nessuna! Compresa quella attuale dei metalmeccanici e delle metalmeccaniche.
Ecco, è per questo che in Italia la peggiore contro-riforma pensionistica, la cancellazione dell’art.18 e il jobs actsono passati incontrastati e oggi siamo nei banchetti sui marciapiedi – più raramente fuori dalle fabbriche – per raccogliere le firme per i referendum e per la Carta dei diritti.
Si può pure guardare alla Francia. Anzi, bene che lo facciano, tanto la segretaria della Cgil che il segretario della Fiom. Ma nell’analisi e soprattutto nelle responsabilità bisogna essere rigorosi e poi, per conseguenza, coerenti. Il segretario generale della Fiom ha condiviso la linea sconclusionata e perdente di Susanna Camusso. Per questo, nel ricostruire l’analisi, non può tacere questi passaggi e le relative responsabilità.
Non basta allora, caro Landini, dire vive la France, se a suo tempo Parigi è valsa ben più di una messa! (cit. Enrico IV, quando abiurò la sua religione protestante pur di diventare re di Francia…)

https://sindacatounaltracosa.org/2016/06/18/parigi-val-bene-una-messa-a-proposito-di-unintervista-a-landini/

giovedì 16 giugno 2016

Conti Bonus e recupero tassazione agevolata premio maggio

Riceviamo e pubblichiamo:

Da:           Rsu
Per:          Lembi, Albertini
Cc:           Rsu
Data:        16/06/2016 16:22
Oggetto:  Conti Bonus e recupero tassazione agevolata premio maggio


Buongiorno,

vista l'assenza di comunicazioni ufficiali in merito e l'avvicinarsi della fine del mese di giugno vi chiediamo quando pensate di erogare il Contibonus e il recupero dei soldi per l'applicazione della tassazione agevolata sul Premio Risultato di maggio.


Cini e Garzella, RSU

Cgil: la solidarietà allo sciopero in Francia non basta!

ODG presentato al Coordinamento nazionale del 14 giugno a Bologna

In Francia la lotta dura e lunga delle lavoratrici e dei lavoratori contro la loi du travail sta provocando sudori freddi nella classe dominante e nel governo. Lo sciopero generale di oggi, 14 giugno, sta confermando la forza della classe lavoratrice.
La pressione della lotta, che ha coinvolto da subito vastissimi settori giovanili, ha trascinato i Sindacati francesi, in primo luogo la Cgt, a sostenere posizioni avanzate come la rivendicazione del ritiro puro e semplice della legge senza incancrenirsi in posizioni emendative e minimaliste come in più occasioni è stato fatto in Italia.
I grandi mezzi di comunicazione si cimentano a qualunque falsità per screditare la lotta accusandola di essere violenta, di prendere in ostaggio il paese con la chiusura dei distributori di carburante attraverso il blocco totale delle raffinerie.
Nonostante tutto ciò, il sostegno della popolazione francese alla lotta è altissimo, la maggioranza di essa ha dichiarato di considerare legittimi e necessari gli scioperi e i blocchi.
L’effetto contagio comincia a vedersi anche in altri paesi, il movimento in Belgio comincia a far scorgere la necessità di generalizzare lo scontro, in una lotta vera più generale contro le politiche di austerity dell’UE su base continentale.
Questa è una delle ragioni per cui riteniamo completamente sbagliata, oltre che fuori da ogni razionalità e realtà, la dichiarazione della Camusso che ha di fatto criticato ciò che sta succedendo in Francia in quanto la lotta radicale ridurrebbe il consenso. Il movimento in Francia la pensa esattamente all’opposto per fortuna ed è deciso ad alzare il livello dello scontro, all’altezza dell’attacco ricevuto.
La lettera della Segreteria nazionale della Cgil di ieri ai sindacati e ai lavoratori francesi è solo un piccolissimo segnale di controtendenza ma assolutamente insufficiente. Anche perché dal gruppo dirigente del principale sindacato d’Europa ci si aspetterebbe non una sterile, seppur importante, comunicazione di solidarietà, ma un bilancio franco e rigoroso degli errori del Cgil, della sconfitta subita contro il Jobs Act in Italia a causa della non volontà di sviluppare una lotta vera, proprio come in Francia e, appunto, una svolta radicale della propria linea.
Dalla Francia si lancia un messaggio molto chiaro, per vincere bisogna bloccare il paese, mettere in ginocchio governo e padronato e lottare in maniera determinata, fino in fondo. Il gruppo dirigente della Cgil che continua, nel nostro paese, a reclamare tavoli col governo con l’aspettativa di convincerlo a cambiare i provvedimenti è fuori dalla realtà. Per tutte queste ragioni, anche in Italia, è più urgente che mai fare come in Francia e prepararne le condizioni.
Approvato all’unanimità dal Coordinamento nazionale sindacatoaltracosa, 14 giugno – Bologna

https://sindacatounaltracosa.org/2016/06/15/cgil-la-solidarieta-allo-sciopero-in-francia-non-basta/

mercoledì 15 giugno 2016

Domani riunione per "pause, interinali e part time"

Siamo venuti a conoscenza del fatto che è convocata per domani giovedì 16/06 alle ore 11:00 a Fauglia la delegazione trattante per proseguire la discussione riguardante "le pause, interinali e part-time". 

TUTTA LA FRANCIA CONTRO IL JOBS ACT

Scritto da CLASH CITY WORKERS il 14 giugno 2016:

Oggi i francesi tornano in piazza, con un nuovo sciopero generale convocato da 4 sindacati (CGT, FO, FSU, Solidaires) e tre organizzazioni studentesche (UNEF, UNL, FIDL). Gli scioperi continuano, nonostante gli appelli alla “responsabilità” da parte di alcuni membri del Governo, i quali vorrebbero che le agitazioni avessero fine per consentire un “sereno svolgimento” degli europei di calcio.
Ma è proprio appellandosi a quel senso di responsabilità – verso i propri colleghi, verso i propri figli, verso sé stessi – che i lavoratori francesi sono decisi a non mollare. On lâche rien – non molliamo – è lo slogan più diffuso in questa mobilitazione che entra oggi nella sua fase decisiva.

La Loi El-Khomri – il Jobs Act d’oltralpe – (che abbiamo analizzato in questo articolo) verrà infatti introdotta al Senato, per essere poi discussa fino al 24 giugno, e votata il 28. In senato non è possibile il ricorso all’articolo 49.3 della Costituzione, quello che ha consentito di bypassare l’Assemblea Nazionale (corrispettivo della Camera italiana), ma d’altra parte a detenere la maggioranza dei senatori è la destra liberista, che ha già annunciato di voler modificare il testo eliminando la settimana di 35 ore (una regola d’altronde già infiacchita da numerosi provvedimenti che l’hanno nei fatti resa un’eccezione, più che la regola). Il Senato sarà quindi molto più permeabile alle richieste della Medef (la Confindustiria francese), che – ben oltre le intenzioni governative – vorrebbe eliminare definitivamente le 35 ore e togliere qualsiasi vincolo ai contratti aziendali, perché i propri rispettabili aderenti abbiano mano libera nel regolare salari e soprattutto tempi di lavoro in base alle proprie esigenze: abbassando i primi e aumentando i secondi, si intende.

Una volta uscita dal Senato, la legge dovrà essere ridiscussa da una commissione paritetica composta da deputati e senatori, che dovranno accordare i due testi: quello uscito dall’Assemblea Nazionale e quello uscito dal Senato. Nel caso in cui – con molta probabilità, essendo le due assemblee di colore differente – la commissione non dovesse pervenire ad un accordo interno, sarà l’Assemblea Nazionale a decidere la sorte della Loi El-Khomri, presumibilmente a luglio. Niente impedirà al Governo Valls di riutilizzare l’art.49.3 della Costituzione per far passare una legge che non ha la maggioranza nemmeno nel PS.

Mentre il Governo si mostra inflessibile, gli apparati dello Stato attaccano il movimento ai fianchi: la manifestazione di oggi sarà interdetta a circa 130 persone nella regione di Parigi, 15 a Rennes. Sono le conseguenze della legge d’emergenza che vige dal giorno degli attentati di novembre, e che permette ai prefetti di impedire la libera circolazione dei cittadini francesi qualora lo ritengano necessario.

In queste condizioni per i lavoratori non è affatto semplice vincere questa battaglia che va avanti ormai dal 9 marzo. Oggi i sindacati hanno annunciato una manifestazione enorme. Tra i 350 e i 400 bus sono stati mobilitati per raggiungere la capitale. Le federazioni sindacali locali hanno addirittura affittato treni ed hanno messo su un servizio di “covoiturage” (autostop collettivo) gratuito per permettere a chi volesse di arrivare a Parigi, e due altre grandi manifestazioni sono state preannunciate per il 23 ed il 28 giugno.

Vada come vada, i francesi ci stanno dando una grande lezione di dignità, una scossa che si è insinuata nelle coscienze di molti lavoratori europei ed italiani in particolare. Basta dare un’occhiata ai commenti che ha scatenato uno degli ultimi tweet della CGIL – emersa da un lungo silenzio –  contenente un piccolo messaggio di solidarietà diretto ai lavoratori francesi. Sotto al tweet, le reazioni di tanti aderenti battono il ritmo dello stesso messaggio: quando il Jobs Act si votava in Italia voi dove cazzo eravate?

Per il pomeriggio di oggi intanto – al netto dei messaggini della Camusso – diverse organizzazioni di base italiane hanno organizzato presidi di fronte ai consolati ed alle ambasciate di Francia: un modo simbolico, ma importante, di dare forza e visibilità alle ragioni dei lavoratori d’oltralpe. Un modo come un altro per recuperare il filo del riscatto nel nostro paese, per lasciare da parte la rassegnazione e l’opportunismo di tanti dirigenti sindacali, per ricostruire il movimento operaio partendo dalla sua essenza: la solidarietà.

http://clashcityworkers.org/internazionale/2382-francia-contro-jobs-act.html

martedì 14 giugno 2016

Solidarietà con le lotte in Francia. Gréve GENERALE!

Perchè il vostro maggio non faccia a meno del nostro coraggio. Comunicato sindacatoaltracosa

Tra 13 e 14 giugno, sosteniamo i presidi di solidarietà in tutta Italia (tra cui Roma,Genova, Brescia, Milano, Firenze, Torino). Scarica il volantino. La loi du travail è un regalo alle imprese e un colpo alle lavoratrici e ai lavoratori, con l’allungamento degli orari e il taglio dei salari, la destrutturazione dei contratti collettivi e la libertà di licenziamento.
In particolare:
– si porta con deroghe la giornata lavorativa fino a 12 ore e la settimana sino a 60 ore in caso di “circostanze eccezionali”;
– si deroga agli aumenti salariali per il lavoro straordinario stabiliti dai contratti;
– si può licenziare non solo in caso di cessazione dell’attività o di ristrutturazione, ma anche soltanto dopo due mesi di perdite d’esercizio;
– si abbassano i massimali nei risarcimenti per i licenziamenti illegittimi;
– si prevede l’imposizione di accordi aziendali con referendum, purché indetti da sindacati che abbiano almeno il 30% dei consensi;
– si introduce la possibilità di una compressione salariale fino a due anni, non soltanto per mantenere l’occupazione (una sorta di contratti di solidarietà) ma persino per espandere gli affari e conquistare nuovi mercati;
– infine, ma è il fulcro principale della riforma, la supremazia degli accordi aziendali su quelli di settore.
In poche parole, è il Jobs act alla francese, tanto che il primo ministro Valls non ha esitato a dichiarare che proprio a questo è ispirata. Ma rispetto all’Italia, è palese la differenza! In Francia stiamo assistendo a una mobilitazione determinata e prolungata, con ripetuti scioperi generali e di settori, con percorsi di convergenza, unificazione e generalizzazione di tutte le lotte contro il governo e il padronato (Nuit debut), nonostante la durissima repressione e lo stato di emergenza dichiarato dopo gli attentati dello scorso dicembre. In Italia, la Cgil nell’autunno 2014 ha frenato e poi spento il movimento, che pure stava nascendo. I lavoratori e le lavoratrici erano disponibili a mobilitarsi. Chi è mancato sono stati i vertici sindacali. Così come manca oggi la volontà da parte della Cgil di tenere insieme gli scioperi per i rinnovi contrattuali che, pur tra mille contraddizioni, stanno interessando le più importanti categorie: i metalmeccanici e le metalmeccaniche, i servizi e la grande distribuzione, la scuola e il pubblico impiego. Di nuovo, chi manca sono i vertici sindacali.
Dalla Francia, come dalle esperienze che ancora resistono in Italia, bisogna prendere l’esempio per far ripartire il conflitto e costringere i sindacati alle proprie responsabilità. Non è possibile che mentre a Parigi si lotta, in Italia si raccolgono firme ai banchetti!
Al movimento francese va tutta la nostra solidarietà, ma più che a parole dobbiamo esprimerla con la ripresa delle lotte su scala europea, come già sta accadendo in Grecia e in Belgio. Per questo, ci impegniamo a rilanciare la mobilitazione contro le politiche di austerità europee, rappresentate pienamente dal governo Renzi.
sindacatoaltracosa – opposizione Cgil
https://sindacatounaltracosa.org/2016/06/09/solidarieta-con-le-lotte-in-francia-greve-generale/

Lavoro. Cosa succede in Francia e cosa ha a che vedere con noi

Lo scorso 8 marzo in Francia sono scese in piazza quasi mezzo milione di persone. Si, avete capito bene, quasi 500 mila persone in piazza mentre uno sciopero generale e le proteste degli studenti bloccavano trasporti, aziende e scuole. Tutto questo nel silenzio generale dei media italiani. 
Un popolo in lotta, il “debutto di un movimento” come lo ha definito Le Monde, il secondo giornale di Francia, che si è scagliato contro la riforma del lavoro di Myriam El Kohmri, il ministro del Lavoro. Un intervento del Governo socialista che se dovesse essere approvato in primavera inciderà profondamente nel diritto del lavoro francese.Per il lettore italiano, tuttavia, tutto ciò risuonerà come un film già visto: le affinità con le riforme degli ultimi anni, dagli accordi di Pomigliano del 2011 fino al Jobs Act, sono sorprendenti. Chi sa che non sia per questo che i giornali di regime non danno notizia delle proteste francesi? D’altronde, se c’è un qualcosa che accomuna i paesi europei in questo momento storico, esso è stato pienamente riassunto da Myriam El-Khomri in un’intervista rilasciata al giornale Echos il 19 febbraio scorso“L’obiettivo […] è quello di adattarsi ai bisogni delle imprese”. Punto. Ma se le suddette imprese sono le stesse che delocalizzano in Est Europa, in India, in Cina, in Turchia etc., “adattarsi ai loro bisogni” per noi lavoratori, vuol dire massacrarci gli uni con gli altri, in una guerra civile combattuta negli uffici, alle catene di montaggio, nei magazzini e nei supermercati, se non sul campo di battaglia vero e proprio, da almeno due miliardi di persone. 
Ma andiamo a vederla nel dettaglio.....
Continua a leggere su:

venerdì 10 giugno 2016

Sciopero generale: per saldare la lotta di tutti i lavoratori, più precari che mai

"Le discussioni sull'adesione a certe organizzazioni sindacali piuttosto che ad altre non hanno alcun senso: la difesa degli interessi proletari e delle condizioni di lavoro e di vita non è una questione di forme ma di forza, e la forza dipende anche da come ci si schiera in campo obbligando qualsiasi sindacato ad adeguarsi, come è sempre successo. Per lavoratori estremamente ricattabili, divisi, che lavorano insieme a quelli con posto fisso solo per periodi brevi, non ha senso l'organizzazione legata al posto di lavoro. Essi devono organizzarsi fuori, indipendentemente dal lavoro che fanno, dove e per conto di chi. Oggi come non mai questo vale per tutti i lavoratori, in una saldatura comune di interessi che impedisca la frammentazione della loro forza."

Leggi il testo completo su:

Sciopero generale: per saldare la lotta di tutti i lavoratori, più precari che mai

VIA ANCHE IL PREAVVISO PER CAMBIO TURNO!


Riceviamo e pubblichiamo:
Ancora una volta l'azienda pianifica un cambio turno e lo comunica ai lavoratori senza rispettare la settimana di preavviso prevista dagli accordi.
L'atteggiamento dell'azienda è sempre più sfrontato e arrogante e la responsabilità è soprattutto di chi non gli pone ostacoli e lascia che i lavoratori si arrangino da soli o peggio ancora li invita ad accettare il non rispetto delle regole con la motivazione che "a volte può far comodo anche a noi...".
Rifiutiamo questa logica e questi metodi e continuiamo a lavorare perché l'azienda rispetti i diritti dei lavoratori.


10 Giugno 2016
G.Garzella e S.Cini RSU

giovedì 9 giugno 2016

CONTRASTARE DAVVERO I PADRONI E IL GOVERNO


Chi non ha voluto difendere lo Statuto dei Lavoratori, chi ha in definitiva accettato l'abolizione dell'art.18, i “licenziamenti per ragioni economiche” e l'abolizione del diritto al reintegro per i licenziamenti illegittimi, si presenta oggi a chiedere la firma per una legge “sui Diritti del lavoro”.

Ma quali diritti? 
In 97 articoli, 29 pagine fitte, di “Carta dei diritti universali del lavoro”, sui diritti ci sono solo parole vaghe e NESSUNA CERTEZZA. Il resto ricopia e riorganizza la LEGISLAZIONE DEL LAVORO DEGLI ULTIMI ANNI, compreso il lavoro a termine, interinale e occasionale e inclusi i contenuti dell'accordo del 10 gennaio 2014 su rappresentanza e divieto di sciopero contro accordi firmati. Tra l'altro, verrebbero regolati minuziosamente per legge rapporti finora regolati dai contratti nazionali, mentre per esempio per l'orario di lavoro è previsto il limite medio e derogabile di 48 ore settimanali nell'arco di 4 mesi che è perfettamente compatibile con lavorare 96 ore una settimana si e una no!

La "raccolta di firme" per chiedere una legge popolare “sui Diritti del lavoro”, ammettendo che riesca nel suo intento, NON ripristinerà lo Statuto dei Lavoratori né tanto meno lo estenderà ai lavoratori precari e autonomi visto che oltretutto si chiede di farlo esattamente alle stesse forze politiche che lo ha demolito.
Si tratta di un metodo che di sindacale non ha niente e che non fa altro che confermare la rinuncia a mettere in campo azioni di reale ed efficace contrasto allo smantellamento dei diritti dei lavoratori.

E mentre in Italia si raccolgono firme, in Francia sindacati e lavoratori bloccano l'intero paese contro un progetto molto simile al jobs act.
I diritti dei lavoratori, se li si vogliono difendere, lo si deve fare anzitutto nelle fabbriche, nei contenuti dei contratti nazionali, nel contrasto di tutti i giorni alle pretese delle aziende su ritmi di lavoro, pause e salario. 
E lo si deve fare respingendo con iniziative di lotta adeguate i provvedimenti che il governo continua a prendere per togliere diritti e salario ai lavoratori e fare regali alle aziende a spese dell'INPS, cioè delle nostre pensioni. 
E' questo il metodo che noi intendiamo continuare ad applicare.

8 giugno 2016
S.Cini, G.Garzella, G.Romboli, M.Ruffa 

ALMAVIVA: AUTOLICENZIAMENTI, bonus di 1000 euro

Redazione di Operai Contro,

La società voleva licenziare 3000 lavoratori perché per l’azienda è diventato vantaggioso far svolgere l’attività in Albania o in Tunisia pagando molto meno i lavoratori che parlano italiano in quei paesi. Il sindacato ha trovato un accordo e canta vittoria. Peccato però che per i lavoratori ci sia poco da festeggiare. L’accordo raggiunto non è una novità, si tratta del solito mix di contratti di solidarietà, cassa integrazione e autolicenziamenti.

Dietro i lavoratori che per le aziende e per i sindacati sono solo un numero ci sono famiglie che non possono guardare al futuro con una minima serenità. Siamo certi inoltre che nel periodo in cui i lavoratori saranno in cassa il lavoro, che c’è e non manca, sarà portato avanti all’estero e che non tornerà mai più a Palermo Napoli o Roma dove si concentrano le maggiori sedi della società. Sedi che sono situate in posti dove i problemi occupazionali sono già enormi.

Anche questa volta i sindacati hanno svolto la loro attività per le aziende e non per i lavoratori; hanno svolto infatti una mera attività di intermediazione tra le parti sbandierandola come una vittoria dovuta alla mobilitazione dei lavoratori. Mobilitazione che è stata guidata e spenta dai sindacati. Quante lotte dovremo ancora vedere domate e spente dai sindacati che invece dovrebbero sostenerle e rafforzarle.


mercoledì 8 giugno 2016

CHIUSURE ESTIVE


Riceviamo e pubblichiamo: 




Da: Rsu 

Per: L.Lembi; G.Albertini

Cc: Rsu 

Data: 08/06/2016 10:41 

Oggetto: Chiusure estive



Buongiorno,
ci risulta che sul reparto xl3 sia prevista una variazione al piano ferie comunicato mesi fa ed affisso in bacheca aziendale.
Chiediamo di ricevere chiarimenti in merito e sollecitiamo la conferma in tempi brevi per i lavoratori che hanno dato disponibilità a lavorare nel mese di Agosto.
Saluti.

G.Garzella e S.Cini RSU

martedì 7 giugno 2016

9-10 giugno, metalmeccanici. Si faccia come in Francia o sarà a un contratto a perdere



PRETENDIAMO CHIAREZZA INTRANSIGENZA E CONTINUITA’.

Nei prossimi giorni i metalmeccanici e le metalmeccaniche scioperano. La Fiom, insieme a Fim e Uilm, ha infatti indetto il blocco degli straordinari (già da sabato 28 maggio e poi sabato 11 giugno), 4 ore di sciopero articolato in fabbrica e 8 ore di sciopero generale con manifestazioni regionali per giovedì 9 e venerdì 10 giugno.
Vi parteciperemo e saremo in prima linea, come sempre, per respingere l’attacco di Federmeccanica al contratto nazionale, ai nostri diritti e al nostro salario. Non nascondiamo però i limiti di questa vertenza e più in generale della mancanza di una mobilitazione della Cgil, resa tanto più evidente dalla lotta dei lavoratori e delle lavoratrici francesi, che a pochi chilometri da noi, bloccano il paese da settimane con picchetti e scioperi a oltranza.
Primo, perché la decisione di intraprendere un cammino unitario con Fim e Uilm è in netto contrasto con il percorso della nostra organizzazione di questi ultimi anni, sia sulla battaglia per la democrazia nei luoghi di lavoro sia sulle scelte di merito a partire dal ccnl del 2009 e dal no al modello Marchionne.
Secondo, perché questo sciopero, tanto quanto il blocco dello straordinario, arriva in ritardo e, nonostante la disponibilità mostrata dai lavoratori il 20 aprile, non è chiaro su quale piattaforma si chiamano i lavoratori a scioperare. Siamo convinti che si dovesse da prima imporre il ritiro della contro-piattaforma di Federmeccanica e alzarsi dal tavolo. Invece, sulla parte normativa, già a partire dalle piattaforme, si è andati avanti a trattare nei tavoli tecnici, aprendo e concedendo disponibilità già gravissime: sulla esigibilità degli accordi da parte delle aziende, sulla flessibilità in funzione della produttività, sull’utilizzo dello straordinario individuale come banca ore per riduzioni di orario negli ultimi anni prima della pensione, sulla sanità integrativa aziendale.
Terzo, perché, se come sempre è stato, il contratto dei metalmeccanici assume una valenza generale, bisogna con molta più forza puntare a generalizzare lo scontro coinvolgendo le altre categorie e mettere la Cgil di fronte alle proprie responsabilità. Per riconquistare un vero contratto nazionale sarebbe necessario coordinare la mobilitazione con tutte le altre categorie che allo stesso modo dei metalmeccanici non riescono a rinnovarlo (i servizi e la grande distribuzione commerciale, la scuola e il pubblico impiego soltanto per citare i principali) e programmare una lotta chiara, generale e continuativa, il cui sbocco naturale dovrebbe essere un vero sciopero generale contro il governo e i padroni.
Noi sosteniamo l’attuale mobilitazione, ci siamo e faremo la nostra parte, ma diciamo con altrettanta chiarezza che non vogliamo un contratto purché sia e chiediamo che, anche se in ritardo, questa lotta diventi finalmente una lotta vera e intransigente, che assuma una portata generale insieme agli altri settori e soprattutto che stavolta arrivi fino in fondo e non sia lasciata a metà. I lavoratori e le lavoratrici hanno dimostrato di esserci. Ora tocca ai vertici di Fiom e Cgil essere coerenti con questa disponibilità e dare come obiettivo chiaro, intransigente e immediatamente comprensibile il ritiro della contro-piattaforma di Federmeccanica, contestualmente alla rimessa al centro della battaglia contro il jobs act, chiamando tutte e tutti a “fare come in Francia”. Non è possibile che mentre a Parigi si lotta, in Italia l’atto più conflittuale è la raccolta di firme!
Sia chiaro da subito, che per parte nostra un contratto nazionale che non dovesse difendere il suo carattere universalistico e solidaristico, dovesse peggiorare le condizioni di lavoro e limitare il diritto di sciopero, incontrerà il nostro NO nelle fabbriche e soprattutto una pratica sindacale completamente diversa.
sindacatoaltracosa in Fiom


https://sindacatounaltracosa.org/2016/06/07/9-10-giugno-metalmeccanici-si-faccia-come-in-francia-o-sara-a-un-contratto-a-perdere/

lunedì 6 giugno 2016

E sulle pensioni Camusso e Renzi scrissero, dopo tante fatiche, il nuovo 'patto sociale' - ControLaCrisi.org

Sulle pensioni arriva la seconda convocazione da parte del Governo. Il 14 giugno ci si ritrova con Poletti e con il sottosegretario Nannicini. Il copione sembra già scritto. Per il momento non si arriverà ad alcun accordo perché tutto si trascinerà in uno stanco tira e molla. In un secondo momento potrebbe venir fuori Renzi che con il classico colpo di teatro rimetterà tutto in riga richiamandosi alla necessità di un nuuovo patto sociale......

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E sulle pensioni Camusso e Renzi scrissero, dopo tante fatiche, il nuovo 'patto sociale' - ControLaCrisi.org

mercoledì 1 giugno 2016

Anche se il vostro maggio ha fatto a meno del nostro coraggio…



Lezioni di lotta di classe dal movimento francese contro il Jobs Act


Verrebbe da parafrasare la nota canzone di De André di fronte alla palese differenza della reazione della classe lavoratrice e della grande maggioranza della popolazione francese all’introduzione di una legge sul lavoro che ricalca il Jobs Act entrato in vigore in Italia dal marzo del 2015.
La loi travail (legge sul lavoro o Jobs Act per l’appunto) presentata dalla ministra Myriam El Khomri prevede:
– la possibilità per le aziende di raggiungere accordi con i sindacati in deroga al limite legale della giornata lavorativa (10 ore) fino a 12 ore. La durata della settimana lavorativa può essere portata dalle 35 ore previste per legge a 60 con un provvedimento del ministero del lavoro in caso di “circostanze eccezionali”, con il solo limite di non superare la media di 48 ore settimanali calcolate su una media di 16 settimane;
– la possibilità di derogare a livello di singolo stabilimento agli aumenti salariali per il lavoro straordinario stabiliti dai contratti collettivi nazionali, fino a un minimo del 10% (prima era il 25% salvo condizioni migliori stabilite dai contratti collettivi);
– la possibilità di effettuare licenziamenti economici non solo in caso di cessazione dell’attività o di una ristrutturazione tecnologica, ma anche semplicemente dopo due mesi di perdite d’esercizio;
– massimali nei risarcimenti per licenziamenti illegitttimi dalle 3 alle 15 mensilità di stipendio a seconda dell’anzianità di servizio, abbassando ulteriormente i massimali previsti dalla pessima legge Macron del 2014;
– la possibilità per l’azienda di imporre accordi ai sindacati attraverso referendum tra i lavoratori, purché siano indetti da sindacati che abbiano ottenuto almeno il 30% dei consensi nelle elezioni aziendali;
– la possibilità per le aziende di concludere accordi di compressione salariale di durata fino a due anni non solo nel caso siano necessari per il mantenimento dei livelli occupazionali (una sorta di contratti di solidarietà) ma anche al fine di espandere gli affari e conquistare nuovi mercati;
– infine, ma è il fulcro principale della riforma, la supremazia degli accordi aziendali su quelli di settore, anche per le disposizioni peggiorative delle condizioni per i lavoratori, invertendo il principio di miglior favore preesistente.
Insomma un grandissimo regalo alle imprese e una mazzata alle lavoratrici e lavoratori: smantellamento della giornata lavorativa legale, tagli ai salari, destrutturazione dei contratti collettivi, maggiore libertà di licenziamento. Il primo ministro Valls non ha esitato a dichiarare che la legge del suo governo si è ispirata al Jobs Act italiano.
La risposta popolare all’attacco di Hollande & co. non ha tardato a manifestarsi in modo imponente. La scintilla che ha fatto partire la mobilitazione si è innescata sui social network con la petizione lanciata dalla femminista Caroline De Haas il 19 febbraio per il ritiro del progetto di legge. Gli studenti hanno cominciato a protestare contro una legge che si accanisce contro i giovani (futuri) lavoratori condannandoli alla precarietà ed a condizioni di lavoro indegne.
Il 9 marzo è stato indetto il primo sciopero generale, in cui sono scesi in piazza oltre mezzo milione di lavoratori e cittadini. Da allora si è succeduto un calendario fittissimo di mobilitazioni nazionali e locali contro la riforma del diritto del lavoro, i sindacati si sono coordinati in un’intersindacale che comprende la Cgt, Force Ouvriere, Solidaires, la Fcu (nel settore dell’istruzione) e i sindacati studenteschi Unef, Unl e Fidl. Rimane fuori solo la Cfdt che continua a sostenere il governo socialista.
Il protagonismo degli studenti e più in generale la solidarietà dei cittadini a fianco dei lavoratori si è espressa nel movimento Nuit Debout a partire dalla giornata di mobilitazione del 31 marzo con l’occupazione di Place de la Republique a Parigi oltre che di tante altre piazze, scuole e università in tutta la Francia. Si è creata una forte pressione sui sindacati per uno sciopero generale ad oltranza fino al ritiro della legge. I lavoratori del porto di Le Havre sono entrati in sciopero ad oltranza dal 25 maggio. Dodici centrali nucleari su diciannove hanno votato lo sciopero a oltranza, e iniziato a rallentare la produzione verso lo spegnimento. In sciopero anche i lavoratori del gruppo automobilistico PSA, quelli dei cantieri navali, quelli della logistica in Amazon France. Nelle ultime settimane si sono moltiplicati i blocchi dei depositi di carburante e tutte le principali raffinerie del paese sono entrate in sciopero. Dal 31 maggio è stato indetto lo sciopero ad oltranza nelle ferrovie, anche se la Cfdt si è sfilata dalla mobilitazione in questo settore, che riguarda anche altre questioni oltre alla loi travail, per evitare di sfidare direttamente il governo.
Intanto il governo, consapevole di essere in minoranza nella società (i sondaggi d’opinione hanno rivelato che circa il 70% della popolazione è contraria alla loi travail), ha imposto il 12 maggio scorso la propria legge, utilizzando il dispositivo dell’articolo 49-3 della costituzione francese, che consente, di approvare in prima istanza una legge senza il voto del Parlamento, che può opporsi solo sfiduciando il governo stesso.
Contemporaneamente le mobilitazioni di piazza hanno incontrato una durissima repressione poliziesca, anche in virtù dello stato di emergenza dichiarato dopo gli attentati a Parigi dello scorso novembre, che è stato prolungato ad arte per usarlo contro i movimenti sociali. Centinaia sono i feriti nelle manifestazioni di piazza, gli arresti e le denunce contro gli attivisti, con cui il governo cerca di presentare il movimento come illecito e violento, nel tentativo di dividere i lavoratori e i giovani, le direzioni sindacali dai manifestanti, e recuperare consensi nell’opinione pubblica. Per ora questa operazione non ha avuto successo e il duo Hollande-Valls risulta essere tra i più impopolari della storia della Quinta Repubblica.
Il 14 giugno, quando la legge andrà in discussione al Senato, ci sarà uno sciopero generale e una manifestazione nazionale di protesta, una giornata che sarà decisiva per lo sviluppo del movimento. E’ chiaro che il governo non ha alcuna intenzione di retrocedere e che lo scontro ha una valenza politica generale, come in Italia sulle principali riforme messe in atto da Renzi. Il movimento dovrà essere in grado di mettersi a questo livello e innescare uno sciopero generale ad oltranza in tutte le categorie per chiedere le dimissioni del governo.
La differenza evidente tra l’esperienza francese e quella italiana sembra essere, almeno fino ad ora, il ruolo giocato dalle direzioni dei principali sindacati dei lavoratori. In Italia la maggioranza della Cgil, che si poteva fare interprete di una stagione di lotta nell’autunno del 2014 contro il Jobs Act e nel 2015 contro la riforma della scuola, ha abbandonato anzitempo il campo dello scontro sociale lasciando disorientati e isolati i lavoratori, arrivando fino a sanzionare come incompatibili quelli che continuavano ad opporsi alle politiche padronali come negli stabilimenti Fiat di Termoli e Melfi. Non è un caso che la Camusso abbia già rilasciato dichiarazioni critiche verso le mobilitazioni francesi, nonostante siano promosse anche da sindacati che fanno parte della stessa confederazione europea della Cgil.
La Francia sta dimostrando, in un paese con una situazione politica e sociale per molti versi simile a quella italiana, che non solo il movimento operaio non è morto, ma che le mobilitazioni dei lavoratori e delle lavoratrici possono trainare una ripresa di protagonismo sociale di tutte a tutti gli sfruttati ed oppressi, possono essere saldate con le istanze di democrazia degli studenti e dei cittadini, possono mettere in crisi le politiche capitalistiche dominanti in Europa.
Il movimento francese ha già contagiato il Belgio, dove i lavoratori pubblici e privati si stanno mobilitando contro la legge Peeters, che prevede una aumento dell’orario di lavoro. Le politiche di austerità vengono applicate in Europa in modo diseguale nei tempi ma combinato negli intenti comuni di attacco ai salari e ai diritti dei lavoratori. La Grecia con il suo terzo memorandum imposto ai cittadini da un governo sempre più succube della troika e screditato agli occhi dei lavoratori è l’avanguardia dell’opera di redistribuzione massiccia dai salari ai profitti. Anche lì sta ripartendo un’opposizione sociale alle politiche di austerità, con tutte le enormi difficoltà da superare, a partire dalle direzioni sindacali che simpatizzano con il nemico.
Dalla Francia e dalle esperienze di lotta sui posti di lavoro che ancora resistono in Italia bisogna prendere l’esempio per far ripartire la lotta dal basso, costruendo dappertutto comitati di lotta a prescindere dall’appartenenza sindacale o politica, organizzare assemblee sui posti di lavoro, nelle scuole e nei quartieri delle città per mettere in discussione la linea antidemocratica e antisociale del governo Renzi. Le organizzazioni sindacali vanno costrette a scendere in campo ed a fare sul serio, prima che sia troppo tardi. La prossima stagione referendaria contro le pessime riforme istituzionali, per la riconquista della dignità del lavoro (Jobs Act) e del diritto ad una istruzione libera (Buona scuola), per fermare lo scempio ambientale (inceneritori, trivelle, acqua) non può vincere se non c’è uno slancio di mobilitazione dal basso che rimetta in discussione il governo dei padroni e delle politiche di austerità.
Al movimento francese va tutta la nostra solidarietà, ma più che a parole dobbiamo esprimerla con la ripresa delle lotte su scala europea, la stessa scala su cui si impongono oggi le politiche delle classi dominanti.

https://sindacatounaltracosa.org/2016/05/31/anche-se-il-vostro-maggio-ha-fatto-a-meno-del-nostro-coraggio/